Il Tribunale di Milano sul caso Johnson

  • Il Tribunale di Milano sul caso Johnson: la responsabilità dell’ente per reato commesso dal subordinato.

Il Tribunale di Milano, sezione X penale, con sentenza n. 3314 del 2023 (ud. 6 marzo 2023, dep. 25 maggio 2023) ha condannato in primo grado Johnson & Johnson Medical S.p.a. (società avente sede in Italia e parte di un gruppo multinazionale operante nel settore dei dispositivi medici) per l’illecito amministrativo ex art. 25 d.lgs. 231/2001 a fronte del reato-presupposto di corruzione commesso da due subordinati che operavano per l’ente.

  1. Il caso

La S.p.a. viene citata a giudizio per l’illecito amministrativo previsto dagli artt. 5, comma 1, lett. b, 7 e 25, comma 2, d.lgs. 231/2001 in conseguenza della commissione – ad opera del personale non apicale – del reato di corruzione aggravata realizzata in concorso tra più persone (artt. 319, 319 bis, 321 e 110 c.p.).

Più nel dettaglio,  un dipendente e un agente di commercio (quest’ultimo lavoratore autonomo) della persona giuridica stipulano un accordo occulto con un pubblico ufficiale: chirurgo ortopedico che rivestiva la qualifica di direttore in una struttura sanitaria pubblica. Il chirurgo, contravvenendo ai propri doveri d’ufficio, favorisce l’acquisto di materiale venduto dalla società imputata (in precedenza esclusa da una gara pubblica avente ad oggetto la fornitura di protesi) dietro compensi in denaro e altre utilità.

Tali condotte avrebbero prodotto vantaggi (economici) per l’ente tratto a giudizio e sarebbero state realizzate in violazione del modello di organizzazione della società ritenuto inidoneo a prevenire il reato di corruzione e comunque non attuato efficacemente dall’ente.

2.      L’assenza di precedenti di legittimità e l’adozione del MOG come opportunità per l’ente

Con riguardo al caso concreto il Tribunale evidenzia che dall’istruttoria sono emersi i seguenti elementi:

  • inidoneità delle misure preventiveadottate nel MOG” della società;
  • assenza di “iniziative adeguate tese a modificare il modello”seppur vi siano state “significative violazioni delle prescrizioni” in esso contenute;
  • “totale inadeguatezza del sistema sanzionatorio”attuato dall’ente.

 

Inidoneità delle misure preventive

Con riferimento alla “inidoneità” delle misure preventive nella stipula dei contratti di consulenza (volte a prevenire la illecita “dazione di utilità al pubblico ufficiale”), l’ente – pur avendo previsto un protocollo articolato in 5 fasi con il coinvolgimento delle Divisioni interne della società e della Direzione compliance – dalle risultanze processuali valorizzate dal Tribunale, non avrebbe

  • a)implementato un meccanismo “bloccante” in grado di “impedire di portare a compimento la fase di una procedura connotata da una violazione”;
  • b)indirizzato correttamente i controlli a campione. Dunque, così facendo, prosegue il Collegio, la società non avrebbe correttamente governato il rischio del “frazionamento delle utilità” (mantenute dagli autori del reato appositamente sotto una certa soglia) né predisposto un sistema in grado di cogliere le erogazioni verso beneficiari soltanto “apparenti” (parti collegate a colui che effettivamente riceveva le attribuzioni contra legem).

A sostegno della inadeguatezza del sistema sanzionatorio, inoltre, il Tribunale rileva che «nessuna delle violazioni di chi avrebbe dovuto dirigere e vigilare e non ha vigilato […] ha dato origine ad una sanzione e/o ad un procedimento disciplinare».

5)      C’è spazio per una sottile differenza: la “culpa in vigilando”, che però non è colpa del sorvegliante ma, comunque, difetto della struttura organizzativa

Nel caso sottoposto alla sua attenzione, il Tribunale ritiene provato il fatto che il reato del subordinato è stato “propiziato dall’inosservanza del dovere di direzione e di vigilanza da parte dei soggetti apicali” (e cioè da carenze di controllo) alla luce di quelle prove fornite dall’accusa vertenti non tanto sulla “ricostruzione di ciò che avevano fatto gli autori del reato” bensì

  • di quanto hanno fatto gli altri soggetti contemplati dai protocollie dalle procedure rilevanti nelle singole vicende e di quanto le loro azioni abbiano agevolato la consumazione del reato
  • di quantonon hanno fatto i medesimi soggetti, ancorché prescritto dai protocolli e dalle procedure, e di quanto le loro omissioni abbiano agevolato la consumazione del reato
  • di quantonon hanno fatto i soggetti preposti ad assicurare non solo il rispetto del modello organizzativo, ma anche la sanzione della sua violazione ed il suo costante aggiornamento”.

DECRETO GIUSTIZIA: INTRODOTTI NUOVI REATI “231”

Novità riguardo alla responsabilità degli enti.

La L. 137/2023, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 9 Ottobre 2023 n. 236, di conversione in legge del decreto legge 105/2023 ha introdotto altri tre illeciti amministrativi per le persone giuridiche,

Il testo normativo interviene sugli artt. 24 e 25-octies.1 D.Lgs. 231/2001, estendendo il catalogo dei reati presupposto della responsabilità delle società ai delitti di turbata libertà degli incanti (art. 353 c.p.), turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (353-bis c.p.) e trasferimento fraudolento di valori (l’art. 512-bis c.p.).

Quali reati

L’art. 24 del D. Lgs. 231/2001 nel testo precedente all’intervento normativo in esame prevede quali reati presupposto la malversazione di erogazioni pubbliche (art. 316-bis c.p.), indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.), frode nelle pubbliche forniture (art. 356 c.p.), truffa ai danni dello Stato, di un ente pubblico o dell’Unione europea (art. 640, secondo comma, numero 1), truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica ai danni dello Stato, di un ente pubblico o dell’Unione europea (art. 640-bis e 640-ter c.p.). La sanzione applicata all’ente è fino a 500 quote (da 200 a 600 quote se l’ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità).

L’art. 353 c.p. (Turbata libertà degli incanti) punisce con la reclusione da 6 mesi a 5 anni e con la multa da 103 a 1.032 euro chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba una gara pubblica o ne allontana gli offerenti.

È prevista una circostanza aggravante (reclusione da 1 a 5 anni e multa da 516 a 2.065 euro) se il colpevole è persona preposta alla gara.

Art. 353-bis c.p e 25.octies.1 del D. Lgs. 231/200

L’art. 353-bis c.p. (Turbata libertà del procedimento di scelta del contraente) punisce con la reclusione da 6 mesi a 5 anni e con la multa da 103 a 1.032 euro chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti turba il procedimento amministrativo al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione. L’art. 25.octies.1 del D. Lgs. 231/2001 nel testo vigente prevede, al comma 1, quali reati presupposto l’indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti (art. 493-ter c.p.), con sanzione amministrativa da 300 a 800 quote, la detenzione e diffusione di dispositivi diretti a commettere reati riguardanti strumenti di pagamento diversi dai contanti (art. 493-quater c.p.) e la frode informatica (art. 640-ter c.p.) aggravata dal trasferimento di denaro, con sanzione amministrativa fino a 500 quote.

Il comma 2 prevede quale reato presupposto ogni altro delitto contro la fede pubblica, contro il patrimonio o che comunque offende il patrimonio previsto dal codice penale, quando ha ad oggetto strumenti di pagamento diversi dai contanti, salvo che il fatto costituisca più grave illecito amministrativo, con sanzioni amministrative graduate a seconda della pena edittale prevista dal codice penale.

Il comma 3 prevede che, nei casi di condanna per i delitti di cui al comma 1 e 2 si applichino all’ente le sanzioni interditti dell’interdizione dall’esercizio dell’attività; della sospensione o della revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni; del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi; del divieto di pubblicizzare beni o servizi (di cui all’art. 9 comma 2, del citato d.lgs. n. 231/2001).

Aggiornamento modello organizzativo

L’introduzione dei suddetti reati nel catalogo 231 fa scaturire l’esigenza di un aggiornamento del modello organizzativo, soprattutto in quei casi in cui l’Ente partecipi a gare pubbliche. Pertanto, alla luce delle novità introdotte, sarà fondamentale, per gli enti dotati di modelli 231, rivedere la mappatura dei rischi, al fine di verificare l’esposizione ai nuovi reati e individuare adeguati protocolli tesi a prevenire il rischio di commissione dei reati contemplati.

Cassazione: responsabilità ex D.Lgs. 231/2001 in caso di risparmio limitato

Sentenza della Cassazione

Con la sentenza n. 39129 del 26.9.2023 la Cassazione penale afferma che risulta colpevole, ai sensi del D.Lgs. 231/2001, la società che, al fine di ottenere un risparmio di spesa (seppur modesto), omette di riparare le porte di ingresso al luogo di lavoro, in violazione delle norme antinfortunistiche.

Il fatto affrontato

A seguito del grave sinistro occorso ad un dipendente, colpito da un cancello fuoriuscito dalle guide a causa della mancata installazione di un adeguato sistema di sicurezza, la società datrice viene ritenuta responsabile dell’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies del D.Lgs. 231/2001.

Nell’impugnare la pronuncia della Corte d’Appello, l’azienda deduce l’insussistenza del requisito dell’interesse o del vantaggio economico dell’ente alla commissione dell’illecito, dal momento che la spese necessaria per la riparazione del cancello ammontava a poche decine di euro.

La sentenza

La Cassazione – confermando la pronuncia di merito – rileva preliminarmente che, in tema di responsabilità amministrativa degli enti, i criteri di imputazione oggettiva, rappresentati dall’interesse o dal vantaggio, sono alternativi e concorrenti tra loro.

In particolare, per la sentenza, l’interesse si integra quando l’autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l’ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento, mentre il vantaggio si integra qualora l’autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone un risparmio di spesa o una massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere detti risultati.

responsabilità amministrativa dell’ente

Secondo i Giudici di legittimità, inoltre, la responsabilità amministrativa dell’ente non può essere esclusa in considerazione dell’esiguità del vantaggio o della scarsa consistenza dell’interesse perseguito, in quanto anche la mancata adozione di cautele comportanti limitati risparmi di spesa può essere causa di reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica.

Ritenendo sussistente quest’ultima fattispecie nel caso di specie, la Suprema Corte rigetta il ricorso e conferma la responsabilità sociale ex D.Lgs. 231/2001.

T.U. Salute e Sicurezza

Con la sentenza n. 38914 del settembre 2023 la Corte di Cassazione ha rilevato il ruolo di primaria importanza del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) nella gestione del rischio per la salute e sicurezza dei lavoratori (D.lgs. 81/2008).

Il fatto

Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza veniva condannato a titolo di cooperazione colposa. Questo ex art. 113 c.p. per aver concorso a cagionare, insieme con il rappresentante della ditta in questione, l’infortunio mortale di un lavoratore. Il quale, assunto con mansioni e qualifica di impiegato tecnico, svolgeva di fatto anche funzioni di magazziniere, senza aver ricevuto la corrispondente formazione.

Nel caso di specie, l’RLS è stato condannato a titolo di colpa specifica correlata a specifiche violazioni in materia di sicurezza sul lavoro. Perché tramite una serie di contegni omissivi (i) trascurava di segnalare al datore di lavoro i rischi connessi all’adibizione del lavoratore a mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali. Senza aver ricevuto alcuna adeguata formazione, (ii) violava l’obbligo di sollecitare l’adozione di misure di sicurezza da parte del datore di lavoro.

Quindi è da chiarire il ruolo delle RLS nella gestione del rischio.

La motivazione

La Corte di Cassazione ha ricordato come l’art. 50 del T.U. Salute e Sicurezza, attribuisca al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza un ruolo di primaria importanza quale soggetto fondamentale che partecipa al processo di gestione della sicurezza dei luoghi di lavoro”. Esso, infatti, costituisce una figura intermedia di raccordo tra datore di lavoro e lavoratori, con la funzione di facilitare il flusso informativo aziendale in materia di salute e sicurezza sul lavoro“.

In particolare, come chiarisce la sentenza, nel caso di specie non si tratta di verificare, in capo al RLS, la sussistenza di una posizione di garanzia – tecnicamente intesa come titolarità di un obbligo di protezione e controllo finalizzato ad impedire l’infortunio del lavoratore –. Ma, piuttosto, di accertare se egli abbia, con la sua condotta, contribuito causalmente alla verificazione dell’evento ai sensi dell’art. 113 c.p.”

In questa prospettiva, ritengono i giudici di legittimità, la condotta omissiva del RLS in violazione dei compiti attribuitigli per legge, assume certamente la valenza di concausa dell’evento mortale, verificatosi a danno del lavoratore. Egli, infatti, ha trascurato di predisporre un’adeguata formazione del lavoratore – adibito a svolgere mansioni diverse rispetto a quelle contrattuali.  Ha anche omesso di sollecitare un’adeguata prevenzione del rischio, ha senz’altro contribuito alla causazione dell’incidente. Sì che, ipotizzando come non avvenuta la sua condotta, l’evento morte non si sarebbe verificato.

A ciò si aggiunga che la Corte di Cassazione ribadisce i principi granitici della giurisprudenza di legittimità in materia di incidenti sul lavoro. Dunque ha escluso che la condotta imprudente del lavoratore deceduto fosse anomala ed eccentrica, tale da escludere il nesso causale tra la condotta colposa del rappresentante e del RLS e l’evento. Le norme antinfortunistiche che permeano le realtà aziendali, infatti, sono dirette ad evitare che il lavoratore, con la sua stessa condotta imprudente, ponga in pericolo la propria sicurezza e integrità.

Aggiornamento “231” 28/08/2023

decreto legislativo n.231 del 2001

  • Appalti di servizio. La giurisprudenza traccia il confine tra liceità e illiceità

La sentenza della Corte di Cassazione, sez. III penale (4.05.2023, n. 18530),  affronta il  tema degli appalti di servizio. Lo fa segnando il confine tra quelli che possono essere definiti leciti strumenti operativi e l’intermediazione illecita di manodopera.

L’appalto di lavoro appartiene ad un numerus clausus di rapporti contrattuali in cui vige una distinzione tra l’utilizzatore finale che fruisce della prestazione (l’appaltante) e l’effettivo datore di lavoro del lavoratore (l’appaltatore). Allo stesso modo come  per la somministrazione di lavoro per il tramite di agenzie per il lavoro e per il distacco: al di fuori di queste ipotesi, l’intermediazione di manodopera si considera illecita.

Il fatto:

il Presidente del Consiglio di Amministrazione di una Società esercente l’attività di ristorazione e l’amministratore unico di una azienda esercente attività servizi di sostegno alle imprese hanno stipulato un contratto di appalto di servizi. Il. contratto ha

ad oggetto “servizio di cucina, servizio di sala“. Tale contratto è stato ritenuto illegittimo in quanto  si sarebbe trattato di  sola fornitura di manodopera, senza assunzione di  alcun rischio economico. I lavoratori erano inseriti nell’organizzazione aziendale della committente, i cui soci programmavano i turni di lavoro e gestivano le richieste di permessi, le ferie e i riposi.

Pertanto, nell’ipotesi di contratti di appalto in cui è preponderante l’aspetto della manodopera (c.d. appalti labour intensive), e solo residuale l’impiego di elementi di natura materiale (come accade per i servizi di ristorazione o di pulizia, oggetto della decisione in commento), tema centrale diviene l’organizzazione del lavoro da parte dell’appaltatore e l’esercizio dei tipici poteri datoriali da parte dello stesso (tra cui il potere di organizzazione, direzione e controllo, o il potere disciplinare).

In queste ipotesi dovrà essere valorizzato l’aspetto connesso all’esercizio dei poteri datoriali in capo a quest’ultimo.

Pertanto il committente non deve interferire  nella scelta dei lavoratori, nel numero o nella loro identità personale, non deve impartire direttive sulle attività da svolgere quotidianamente ed esercitare il potere sanzionatorio sui dipendenti dell’appaltatore.

Possibili conseguenze:

Inoltre, se l’appalto è illecito, in quanto privo dei requisiti legali sopra descritti, si configura un’ipotesi di somministrazione illecita di manodopera.  Pertanto, l’appaltatore e il committente sono entrambi soggetti alla sanzione amministrativa pecuniaria pari a Euro 60,00 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione (innalzati a Euro 70,00 in caso di recidiva nel triennio).

Inoltre, l’importo della sanzione amministrativa concretamente da irrogare non può, in ogni caso, essere inferiore a Euro 5.000, né superiore a euro 50.000.

Nel caso, poi, l’appalto illecito comporti anche lo sfruttamento di minori, si realizza anche un’ipotesi di reato, punita con l’ammenda fino a Euro 360,00 per ciascun lavoratore e per ciascuna giornata (innalzati a Euro 420,00 in caso di recidiva nel triennio), congiuntamente alla pena detentiva dell’arresto fino a 18 mesi.

Ove, poi, come nel caso di specie, l’appalto illecito sia stato posto in essere con la specifica finalità di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicate ai lavoratori impiegati, la fattispecie ricade nel campo di applicazione di cui all’art. 38 bis del D. Lgs. 81/2015 che disciplina il reato di somministrazione fraudolenta di manodopera. In tale ipotesi, ferme le sanzioni amministrative sopra indicate, troverà applicazione anche la pena dell’ammenda di Euro 20,00 per ogni lavoratore occupato e per ciascuna giornata di occupazione.

Inoltre essendo l’appalto fraudolento nullo per illiceità della causa negotii, i lavoratori coinvolti devono essere considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore, indipendentemente da una loro iniziativa giudiziale.

  • RISCHIO CALORE

Il 28 Luglio 2023 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il Decreto Legge n. 98/2023 che contiene le “Misure urgenti in materia di tutela dei lavoratori in caso di emergenza climatica”.

Il datore di lavoro, tenuto conto delle temperature elevate che possono registrarsi nei mesi estivi, deve effettuare una specifica valutazione del rischio da esposizione a ondate di calore e delle conseguenti misure necessarie per la tutela della incolumità del ricorrente e di prevenzione dei rischi lavorativi ai quali lo stesso è esposta.

Sulla base di questi presupposti  il datore di lavoro è stato ritenuto  responsabile nel caso di  ipertermia da colpo di lavoro che aveva affetto un lavoratore adibito posizionamento di una copertina di cemento su un muretto esterno ad una villetta, in una giornata particolarmente calda e in un orario immediatamente successivo alla pausa pranzo (Cass. Sez. IV 30789/2022).

regole precauzionali:

In situazioni del genere vanno previste ed applicate regole precauzionali capaci di prevenire la concretizzazione del rischio, evitando di sottoporre il lavoratore ad attività all’esterno faticose in ore calde, prevedendo pause di riposo frequenti, predisponendo ripari ombreggiati, oltre ad accorgimenti sul vestiario, nonché sulla alimentazione e idratazione. La mancata adozione del modello “231” ha comportato la condanna  anche in ordine all’illecito di cui all’art. 25-septies d.lgs. 231/2001.

Il D.L. 98/2023 prevede, per il periodo luglio-dicembre 2023, la neutralizzazione dei periodi oggetto di trattamento ordinario di integrazione salariale (CIGO) per eventi oggettivamente non evitabili quali le eccezionali emergenze climatiche, estendendo anche al settore edile, lapideo e delle escavazioni, lo strumento già operante per altri settori.

Inoltre, si introduce la possibilità di ricorrere al trattamento d’integrazione salariale agricola (CISOA) a seguito di eccezionali eventi climatici.

Si prevede che i Ministeri del lavoro e delle politiche sociali e della salute favoriscano la sottoscrizione di intese tra organizzazioni datoriali e sindacali per l’adozione di linee-guida e procedure concordate ai fini dell’attuazione delle previsioni del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, potendo recepire dette intese con proprio decreto. Il Ministero del Lavoro ha elaborato un vademecum per i rischi lavorativi da esposizione ad alte temperature.

VADEMECUM

  • Inail e valutazione del rischio della commissione dei reati relativi a salute e sicurezza sul lavoro di cui al lgs.231/01.

Con le recenti “Linee di indirizzo per il monitoraggio e la valutazione del rischio della commissione dei reati relativi a salute e sicurezza sul lavoro di cui al 25-septies del d.lgs. 231/01”, l’INAIL fornisce  alle imprese uno strumento di diffusione della cultura della sicurezza e delle best practices di tipo organizzativo, tecnico e gestionale.

Il Documento costituisce un supporto operativo per l’implementazione di sistemi di gestione volti alla prevenzione di infortuni sul lavoro e della responsabilità dell’ente.

In particolare, si legge nel comunicato, “vengono fornite indicazioni su come monitorare e misurare i rischi di commissione dei reati relativi alla salute e sicurezza sul lavoro attraverso specifiche modalità operative conformi alla UNI ISO 45001:18”.

E ancora “Le linee di indirizzo mirano innanzitutto a orientare le imprese nella realizzazione di un modello che sia il più possibile aderente al proprio contesto organizzativo, in modo da costituire uno strumento utile sia alla riduzione degli infortuni, sia al miglioramento della gestione complessiva delle attività.

 Inoltre, tale strumento consente all’impresa di rispettare i dettami normativi, tutelandosi dalla responsabilità amministrativa. In generale, una gestione corretta della salute e sicurezza porta alla riduzione dei rischi diventando anche un importante strumento di competitività”.

Il fulcro del modello di gestione proposto è costituito dall’attività di audit che, effettuata in maniera rigorosa, consente di fornire all’organizzazione indicazioni su quali sono le aree del proprio modello organizzativo e gestionale in cui è necessario diminuire i livelli di rischiosità, nell’ottica del miglioramento continuo.

 

Incentivi nazionali in materia di assunzione 2023

 

Avvocato Innocenzo Megali

SINTESI INCENTIVI NAZIONALI IN MATERIA DI ASSUNZIONE PER L’ANNO 2023

 

Aggiornato al 17/08/2023

 

 

Legenda:

  • Regime “de minimis”:

    trattasi del tetto massimo utilizzabile relativo agli aiuti di Stato concessi alle imprese definito dal Regolamento UE n. 1407/2013. In via generale, tale limite risulta pari ad euro 200.000,00 nell’arco di tre anni.

  • Temporary Crisis and Transition Framework:

    trattasi del tetto massimo temporaneo utilizzabile relativo agli aiuti di Stato a sostegno dell’economia nell’attuale emergenza derivante dal conflitto russo-ucraino adottato dalla Commissione UE in data 23 marzo 2022. Allo stato attuale, il limite risulta pari ad euro 2.000.000 e la scadenza del Temporary framework risulta essere al 31 dicembre 2023.

  • Regole generali in materia di incentivi all’assunzione

    : trattasi dei requisiti generali previsti dalla Legge n. 296/2006 e dal D.lgs. n. 150/2015 per la fruizione degli incentivi in materia di assunzione, ovvero:

– possesso del DURC;

– rispetto degli accordi e contratti collettivi sottoscritti dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative;

– l’assunzione non deve rappresentare attuazione di un obbligo di legge o di contratto (ad esempio assunzione di disabili per obbligo l. 68/99);

– l’assunzione non deve ledere il diritto di precedenza alla riassunzione di altro lavoratore né essere in adempimento del diritto di precedenza per il lavoratore che si sta assumendo;

– non devono essere in corso sospensioni del lavoro con intervento della cassa integrazione straordinaria, salvo che l’assunzione riguardi altri livelli di inquadramento o altre unità produttive;

– l’incentivo non spetta per i lavoratori licenziati nei 6 mesi precedenti da parte di aziende che, al momento del licenziamento, ha assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con chi assume o risulta in rapporto di collegamento o controllo;

– la comunicazione obbligatoria di assunzione va inviata secondo le tempistiche previste dalla Legge.

  • Incremento occupazionale netto

    : trattasi di un requisito richiesto per alcune agevolazioni, secondo cui l’assunzione può essere incentivata se determinata un aumento del numero medio di unità lavoro (ULA) relativo all’anno successivo all’assunzione rispetto al numero medio di unità lavoro (ULA) relativo all’anno precedente all’assunzione. Tale requisito va rispettato solo se espressamente richiamato nelle schede seguenti.

  • Lavoratore disoccupato:

    ai sensi dell’articolo 19 del d.lgs. n. 150/2015, sono considerati disoccupati, coloro che sono privi di impiego e che dichiarano, in forma telematica, al Sistema Informativo Unitario delle politiche del lavoro (SIU), la propria immediata disponibilità (DID) allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il Servizio competente.

  • Lavoratore privo di impiego regolarmente retribuito:

    il lavoratore che, nel periodo richiesto dall’incentivo, non ha prestato attività lavorativa riconducibile a un rapporto di lavoro subordinato della durata di almeno sei mesi ovvero non ha svolto attività di lavoro autonomo o parasubordinato dalla quale sia derivato un reddito che corrisponda a un’imposta lorda superiore alla misura delle detrazioni spettanti ai sensi dell’art. 13 del Testo unico delle imposte sui redditi (TUIR – DPR n. 917 del 1986).

INCENTIVO PER L’ASSUNZIONE A TEMPO INDETERMINATO DI GIOVANI UNDER 30

Riferimenti di legge: legge n. 205/2017.

Circolari INPS: circolare n. 40/2018 e n. 57/2020.

Rapporti di lavoro interessati: assunzione con contratto a tempo indeterminato, trasformazione in tempo indeterminato di contratto a termine, conferma in qualifica (tempo indeterminato) per lavoratore assunto con contratto di apprendistato professionalizzante.

Lavoratori interessati: giovani con età inferiore a 30 anni che non hanno avuto nel corso della vita lavorativa un precedente rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Durata: 36 mesi in caso di assunzione/trasformazione a tempo indeterminato, 12 mesi in caso di conferma in qualifica dell’apprendista (decorrenti dalla scadenza degli ulteriori 12 mesi di contribuzione agevolata riconosciuti dal D.lgs. 81/2015).

Misura agevolazione: 50% della contribuzione INPS carico ditta per un massimale di 3.000 euro annui.

Requisiti:

  • Rispetto delle regole generali in materia di incentivi all’assunzione;
  • l’esonero contributivo può essere riconosciuto ai soli datori di lavoro che, nei sei mesi precedenti l’assunzione, non abbiano proceduto a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ovvero a licenziamenti collettivi nella stessa unità produttiva (non richiesto per conferma in qualifica apprendista);
  • il datore di lavoro, nei sei mesi successivi all’assunzione incentivata, non deve procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo del medesimo lavoratore o di un lavoratore impiegato nella medesima unità produttiva e inquadrato con la medesima qualifica (non richiesto per conferma in qualifica apprendista).

Computabilità nel regime de minimis: non rileva.

INCENTIVO PER L’ASSUNZIONE A TEMPO INDETERMINATO DI GIOVANI UNDER 36

Riferimenti di legge: legge n. 178/2020 e 197/2022.

Circolari INPS: circolare n. 57/2023.

Rapporti di lavoro interessati: assunzione con contratto a tempo indeterminato, trasformazione in tempo indeterminato di contratto a termine (avvenute nel periodo dal 1 luglio 2022 al 31 dicembre 2023).

Lavoratori interessati: giovani con età inferiore a 36 anni che non hanno avuto nel corso della vita lavorativa un precedente rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Durata: 36 mesi (48 mesi in caso di assunzione nelle Unità Produttive collocate in Regioni del Sud).

Misura agevolazione: 100% della contribuzione INPS carico ditta per un massimale di 6.000 euro annui (massimale elevato a 8.000 euro annui nel caso di assunzione/trasformazione nel corso del 2023).

Requisiti:

  • Rispetto delle regole generali in materia di incentivi all’assunzione;
  • l’esonero contributivo può essere riconosciuto ai soli datori di lavoro che, nei sei mesi precedenti l’assunzione, non abbiano proceduto a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo ovvero a licenziamenti collettivi nella stessa unità produttiva nei confronti di lavoratori inquadrati con la medesima qualifica;
  • il datore di lavoro, nei nove mesi successivi all’assunzione incentivata, non deve procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo del medesimo lavoratore o di un lavoratore impiegato nella medesima unità produttiva e inquadrato con la medesima qualifica.

Computabilità nel regime de minimis: computabile nel Temporary Crisis And Transition Framework.

 INCENTIVO PER L’ASSUNZIONE DI GIOVANI “NEET”

Riferimenti di legge: Decreto legge n. 48/2023.

Circolari INPS: circolare n. 68/2023.

Rapporti di lavoro interessati: assunzione con contratto a tempo indeterminato, anche in somministrazione, assunzione con contratto di apprendistato professionalizzante (avvenute nel periodo dal 1 giugno 2023 al 31 dicembre 2023).

Lavoratori interessati: giovani con età inferiore a 30 anni che non lavorino e non siano inseriti in corsi di studi o di formazione (NEET) e siano registrati al Programma Operativo Nazionale Iniziativa Occupazione Giovani. In aggiunta a questi requisiti, per rientrare nell’incentivo i giovani con età compresa fra 25 e 29 anni devono essere privi di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi, oppure non avere diploma di scuola superiore o titolo equivalente, oppure devono aver completato un corso di formazione negli ultimi 24 mesi senza aver trovato il primo impiego retribuito, oppure devono essere assunti in settori con alto tasso di disparità di genere (se facenti parte del genere sottorappresentato).

Durata: 12 mesi.

Misura agevolazione: contributo pari al 60% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali (ridotto al 20% nel caso di cumulo con altri esoneri o riduzioni delle aliquote di finanziamento previsti dalla normativa vigente).

Requisiti:

  • Rispetto delle regole generali in materia di incentivi all’assunzione;
  • Realizzazione di un incremento occupazionale netto con l’assunzione.

 

Computabilità nel regime de minimis: non rileva.

 

 INCENTIVO PER L’ASSUNZIONE DI DONNE E OVER 50

Riferimenti di legge: legge n. 92/2012.

Circolari INPS: circolare n. 111/2013.

Rapporti di lavoro interessati: assunzione con contratto a tempo determinato, assunzione con contratto a tempo indeterminato, trasformazione in tempo indeterminato di contratto a termine.

Lavoratori interessati:

  • uomini o donne con almeno cinquant’anni di età e disoccupati da oltre dodici mesi;
  • donne di qualsiasi età, residenti in aree svantaggiate (Carta degli aiuti a finalità regionale per l’Italia 1° gennaio 2022 – 31 dicembre 2027, approvata dalla Commissione europea con la decisione C(2021) 8655 final del 2 dicembre 2021) e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
  • donne di qualsiasi età, con una professione o di un settore economico caratterizzati da un’accentuata disparità occupazionale di genere (individuati da apposito Decreto Ministeriale ogni anno) e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
  • donne di qualsiasi età, ovunque residenti e prive di un impiego regolarmente retribuito da

almeno ventiquattro mesi.

Durata: nel caso di assunzione a tempo determinato, per la durata del contratto di assunzione (o successiva proroga) e comunque per un massimo di 12 mesi. Nel caso di assunzione o trasformazione a tempo indeterminato, per la durata massima di 18 mesi (comprensivi dell’eventuale periodo agevolato fruito per l’assunzione a termine).

Misura agevolazione: 50% della contribuzione INPS carico ditta.

Requisiti:

  • Rispetto delle regole generali in materia di incentivi all’assunzione;
  • Realizzazione di un incremento occupazionale netto con l’assunzione.

Computabilità nel regime de minimis: l’incentivo rileva sia nel regime ordinario de minimis.

 

INCENTIVO PER L’ASSUNZIONE DI DONNE ESTENSIONE 2022/2023

Riferimenti di legge: legge n. 178/2020, legge n. 197/2022.

Circolari INPS: circolare n. 58/2023.

Rapporti di lavoro interessati: assunzione con contratto a tempo determinato, assunzione con contratto a tempo indeterminato, trasformazione in tempo indeterminato di contratto a termine(avvenute nel periodo dal 1 luglio 2022 al 31 dicembre 2023).

Lavoratori interessati:

  • donne con almeno cinquant’anni di età e disoccupati da oltre dodici mesi;
  • donne di qualsiasi età, residenti in aree svantaggiate (Carta degli aiuti a finalità regionale per l’Italia 1° gennaio 2022 – 31 dicembre 2027, approvata dalla Commissione europea con la decisione C(2021) 8655 final del 2 dicembre 2021) e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
  • donne di qualsiasi età, con una professione o di un settore economico caratterizzati da un’accentuata disparità occupazionale di genere (individuati da apposito Decreto Ministeriale ogni anno) e prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi;
  • donne di qualsiasi età, ovunque residenti e prive di un impiego regolarmente retribuito da

almeno ventiquattro mesi.

Durata: nel caso di assunzione a tempo determinato, per la durata del contratto di assunzione (o successiva proroga) e comunque per un massimo di 12 mesi. Nel caso di assunzione o trasformazione a tempo indeterminato, per la durata massima di 18 mesi (comprensivi dell’eventuale periodo agevolato fruito per l’assunzione a termine).

Misura agevolazione: 100% della contribuzione INPS carico ditta per un massimale di 6.000 euro annui (massimale elevato a 8.000 euro annui nel caso di assunzione/trasformazione nel corso del 2023).

Requisiti:

  • Rispetto delle regole generali in materia di incentivi all’assunzione;
  • Realizzazione di un incremento occupazionale netto con l’assunzione.

Computabilità nel regime de minimis: computabile nel Temporary Crisis And Transition Framework.

 

 INCENTIVO PER L’ASSUNZIONE DI PERCETTORI NASPI

Riferimenti di legge: legge n. 92/2012.

Circolari INPS: circolare n. 175/2013.

Rapporti di lavoro interessati: assunzione con contratto a tempo pieno e indeterminato, trasformazione in tempo indeterminato di contratto a termine (se avviene all’interno della sospensione dell’indennità NASPI, perciò se viene sottoscritto un contratto iniziale di massimo 6 mesi di durata e la trasformazione avviene entro tale termine).

Lavoratori interessati: lavoratori percettori di indennità NASPI (quindi, disoccupati).

Durata: trattasi di contributo (e non di agevolazione) fruito mensilmente secondo la rateizzazione comunicata dall’INPS a seguito dell’autorizzazione.

Misura agevolazione: 20% dell’indennità residua NASPI spettante al lavoratore.

Requisiti:

  • Rispetto delle regole generali in materia di incentivi all’assunzione.

Computabilità nel regime de minimis: l’incentivo rileva nel regime ordinario de minimis.

INCENTIVO PER L’ASSUNZIONE DI PERCETTORI DI ASSEGNO DI RICOLLOCAZIONE

Riferimenti di legge: D.lgs. n. 148/2015.

Circolari INPS: circolare n. 77/2020.

Rapporti di lavoro interessati: assunzione con contratto a tempo determinato, assunzione con contratto a tempo indeterminato, trasformazione in tempo indeterminato di contratto a termine.

Lavoratori interessati: lavoratori percettori di Assegno di Ricollocazione (trattasi, in genere, di lavoratori posti in CIG straordinaria o percettori di Naspi).

Durata: nel caso di assunzione a tempo determinato, per la durata del contratto di assunzione (o successiva proroga) e comunque per un massimo di 12 mesi. Nel caso di assunzione o trasformazione a tempo indeterminato, per la durata massima di 18 mesi (comprensivi dell’eventuale periodo agevolato fruito per l’assunzione a termine).

Misura agevolazione: 50% della contribuzione INPS carico ditta.

Requisiti:

  • Rispetto delle regole generali in materia di incentivi all’assunzione.

Computabilità nel regime de minimis: l’incentivo non rileva nel regime ordinario de minimis.

INCENTIVO PER L’ASSUNZIONE DI LAVORATORI IN CIGS

Riferimenti di legge: D.L. n. 148/1993.

Circolari INPS: circolare n. 12/2006.

Rapporti di lavoro interessati: assunzione con contratto a tempo pieno e indeterminato.

Lavoratori interessati: lavoratori sospesi in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria per almeno 3 mesi (anche non continuativi) dipendenti di aziende poste in CIG Straordinaria da almeno 6 mesi.

Durata: 12 mesi per la riduzione contributiva. Il contributo pari al 50% dell’indennità CIGS viene erogato mensilmente in relazione al periodo residuo di indennità spettante e comunque per massimo 9 mesi (21 mesi se over 50).

Misura agevolazione:

  • Applicazione dell’aliquota contributiva ridotta per l’apprendistato professionalizzante (13,61% nel vostro caso), senza l’esenzione INAIL;
  • Contributo pari al 50% dell’indennità CIGS che sarebbe spettata al lavoratore.

Requisiti:

  • Rispetto delle regole generali in materia di incentivi all’assunzione.

Computabilità nel regime de minimis: l’incentivo non rileva nel regime ordinario de minimis.

 

INCENTIVO PER L’ASSUNZIONE DI DISABILI

Riferimenti di legge: l. 68/1999.

Circolari INPS: circolare n. 99/2016.

Rapporti di lavoro interessati: assunzione con contratto a tempo determinato di almeno 12 mesi (solo per i disabili intellettuali e psichici), assunzione con contratto a tempo indeterminato o trasformazione a tempo indeterminato (categorie residue).

Lavoratori interessati: lavoratori con riconoscimento di disabilità fisica con percentuale superiore al 67% o lavoratori con riconoscimento di disabilità intellettuale o psichica con percentuale superiore al 45%.

Durata:

  • 36 mesi per lavoratori con disabilità fisica superiore al 67%;
  • 60 mesi per lavoratori con disabilità intellettuale o psichica superiore al 45% (computando il periodo eventuale a termine).

Misura agevolazione:

  • Contributo mensile pari al 70% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali per i lavoratori con disabilità fisica superiore al 79% e per i lavoratori con disabilità intellettuale o psichica superiore al 45%;
  • Contributo mensile pari al 35% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali per i lavoratori con disabilità fisica fra il 67% e il 79%.

Requisiti:

  • Rispetto delle regole generali in materia di incentivi all’assunzione, solamente per quanto riguardante il possesso del DURC e il rispetto della contrattazione collettiva;
  • Realizzazione di un incremento occupazionale netto con l’assunzione.

Computabilità nel regime de minimis: l’incentivo non rileva nel regime ordinario de minimis.

 

 

 

 

 

 

 

 

Newsletter 2/2023

1) MODELLO SEMPLIFICATO “231” PER MICRO E PICCOLE IMPRESE

Il 12 gennaio 2023 UNI, Ente Italiano di Normazione, ha pubblicato la Prassi di riferimento 138:2023 «Modello semplificato di organizzazione, gestione e controllo di cui al D.Lgs. 231/2001 per la prevenzione dei reati contro la Pubblica Amministrazione e dei reati societari nelle micro e piccole imprese» («UNI/PdR 138:2023»). La UNI/PdR 138:2023 rientra fra i «prodotti della normazione europea» (Regolamento UE n.1025/2012) ed introduce importanti prescrizioni tecniche utili a guidare l’operato delle piccole imprese.

I destinatari della UNI/PdR 138:2023 sono le imprese di piccole dimensioni (micro e piccole).

Per «micro impresa», si intende quella che occupa meno di 10 dipendenti, con un fatturato minore di 2 milioni di Euro ed un valore totale dello stato patrimoniale inferiore alla predetta somma.

Per «piccola impresa» deve intendersi quella che occupa un numero inferiore ai 50 dipendenti, con un fatturato minore di 10 milioni di Euro e con un valore totale dello stato patrimoniale inferiore alla predetta somma.

La UNI/PdR 138:2023 risponde all’esigenza di contribuire alla costruzione ed all’attuazione di un MOG semplificato per le imprese di minori dimensione. A tale scopo, la UNI/PdR 138:2023 individua tutta una serie di modalità organizzative, gestionali e di controllo per l’adempimento degli obblighi richiesti dagli artt. 6 e 7 del D. Lgs. 231/2001.

Pertanto, le micro e piccole imprese potranno adottare volontariamente un Modello Organizzativo secondo la presente Prassi di Riferimento, adeguando i contenuti della stessa alla loro specifica articolazione aziendale, alle esigenze organizzativo-produttive e alla particolare organizzazione del lavoro.

La scelta di dotarsi di un Modello Organizzativo comporta notevoli vantaggi per le piccole e micro imprese, quali:

  • realizzazione di una più robusta e funzionale strutturazione organizzativa e gestionale;
  • esenzione da responsabilità amministrativa nel caso di efficace adozione ed attuazione del Modello Organizzativo;
  • attribuzione del Rating di legalità da parte dell’AGCM, con conseguenze favorevoli nei rapporti con la Pubblica Amministrazione e con gli Istituti di Credito.

2) Riforma appalti, l’illecito da 231 contestato potrà far scattare l’esclusione dalle gare

Il decreto legislativo che riforma il codice dei contratti pubblici, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, prevede che una contestazione relativa a un illecito 231 potrà essere sufficiente a far scattare la sanzione dell’esclusione da una gara d’appalto

Per ciò che concerne la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi  dipendenti da reato la novità è costituita dall’inserimento della “contestata o accertata commissione” dei reati previsti dal D. Lg. 231/2001 tra gli illeciti professionali che potrebbero determinare l’esclusione da un appalto (articolo 9, comma 4, lettera h, numero 5 della bozza del D. Lgs.

Quindi, nell’ambito della responsabilità degli enti derivante da reato, l’illecito professionale «si può desumere al verificarsi» della mera contestazione di uno dei reati previsti dal Dlgs 231/2001.

L’esclusione non opererà in via automatica (articolo 95, comma 1) perché la valutazione è rimessa alla stazione appaltante e scatterà se gli illeciti sono gravi e tali da rendere dubbia l’integrità o affidabilità dell’offerente.

L’articolo 98, comma 7, del Dlgs di riforma del Codice appalti, indica, però, tra i mezzi di prova adeguati per dimostrare l’illecito «oltre alla sentenza di condanna definitiva, al decreto penale di condanna irrevocabile, alla sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta, anche atti di esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, come ad esempio il decreto di citazione a giudizio o la richiesta di emissione di decreto penale di condanna.

Atti, questi ultimi, che sono però frutto della determinazione unilaterale del pubblico ministero. In attesa della decisione giurisdizionale che, a volte, arriva anche a distanza di anni, l’operatore economico (ossia l’azienda) rischia quindi di essere escluso dalle gare d’appalto.

Più soggetti «contestabili»

La riforma amplia inoltre la platea dei soggetti la cui condotta è rilevante per far scattare l’esclusione.

La «contestata o accertata commissione» dei reati previsti dal Dlgs 231, riguarda, infatti non solo l’operatore economico ma anche i soggetti che operano per suo conto e cioé quelli indicati dall’articolo 94, comma 3 del Dlgs di riforma del Codice appalti, che comprende anche il direttore tecnico, i membri del consiglio di amministrazione, i componenti degli organi con poteri di vigilanza, il socio unico e persino l’amministratore di fatto.

Il modello organizzativo

Se il testo attuale sarà confermato, gli enti – tenuto conto della vastità di situazioni  valutabili come illecito professionale -, dovranno cominciare a pensare al modello conforme al D. Lg. 231/2001 quale insieme di provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti (art. 96 c. 6). Infatti la stazione appaltante, nell’ambito dell’ampia discrezionalità riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa, potrebbe considerare idonea ad evitare l’esclusione, fatta eccezione per i casi più gravi per i quali non ci sono margini di discrezionalità (art. 94, comma 5, e 95, comma 2).

3) Cassazione: la responsabilità dell’amministratore non si riflette automaticamente sull’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001

Con la sentenza n. 570 del 11.1.2023 la Corte di  Cassazione penale afferma che la responsabilità degli amministratori in materia antinfortunistica non integra automaticamente la responsabilità dell’ente, che presuppone anche la sussistenza della c.d. colpa di organizzazione, ravvisabile in ipotesi di mancata attuazione delle cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti dal D.Lgs. 231/2001.

Il fatto affrontato

A seguito dell’infortunio mortale occorso ad un dipendente viene imputata alla società la violazione dell’art. 25-septies, comma 3, del D.Lgs. 231/2001.
In particolare, la Corte d’Appello ritiene l’ente responsabile dell’illecito amministrativo per aver tratto – dalla condotta del reato (di omicidio colposo dovuto all’inosservanza di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro) attribuito al suo amministratore unico – un vantaggio consistito nel risparmio derivante dall’impiego di lavoratori solo formalmente dipendenti di altra società e non dotati di adeguati strumenti di protezione individuale.

La sentenza

La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva che l’illecito amministrativo a carico del soggetto collettivo si configura quando la commissione del reato presupposto (da parte delle persone fisiche che agiscono per conto dell’ente) sia funzionale ad uno specifico interesse o vantaggio a favore dell’ente stesso.

Per la sentenza, ciò esclude che possa essere attribuito all’ente un reato commesso da un soggetto incardinato nell’organizzazione, ma per fini estranei agli scopi dell’ente stesso.

Invero, secondo i Giudici di legittimità, nell’indagine riguardante la configurabilità dell’illecito imputabile all’ente, le condotte colpose dei soggetti responsabili del reato presupposto rilevano soltanto se risulta riscontrabile la mancanza o l’inadeguatezza delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati previsti dal D.Lgs. 231/2001.

In particolare, secondo la Corte di Cassazione, laddove sia stato adottato un modello organizzativo previsto dal D. Lg. 232/2001, non può essere contestata la  “genericità ed inadeguatezza” del modello organizzativo” senza fornire positiva dimostrazione della sussistenza di una “colpa di organizzazione” dell’ente. Infatti la tipicità dell’illecito amministrativo imputabile all’ente costituisce, per così dire, un modo di essere “colposo”, specificamente individuato, proprio dell’organizzazione dell’ente, che abbia consentito al soggetto (persona fisica) organico all’ente di commettere il reato. In tale prospettiva, l’elemento finalistico della condotta dell’agente deve essere conseguenza non tanto di un atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica quanto di un preciso assetto organizzativo “negligente” dell’impresa, da intendersi in senso normativo, perché fondato sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn). Ne consegue che, nell’indagine riguardante la configurabilità dell’illecito imputabile all’ente, le condotte colpose dei soggetti responsabili della fattispecie criminosa (presupposto dell’illecito amministrativo) rilevano se riscontrabile la mancanza o l’inadeguatezza delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati previsti  dal D. Lg. 231/2001. La ricorrenza di tali carenze organizzative, in quanto atte a determinare le condizioni di verificazione del reato presupposto, giustifica il rimprovero e l’imputazione dell’illecito al soggetto collettivo, oltre a sorreggere la costruzione giuridica per cui l’ente risponde dell’illecito per fatto proprio (e non per fatto altrui). Ciò rafforza l’esigenza che la menzionata colpa di organizzazione sia rigorosamente provata e non confusa o sovrapposta con la colpevolezza del (dipendente o amministratore dell’ente) responsabile del reato.

Non ritenendo fornita dall’accusa la prova di tale negligenza nel caso di specie, la Suprema Corte accoglie il ricorso della società, cassando con rinvio l’impugnata pronuncia.

   4) Procedimenti relativi alla violazione del modello “231” nel Triveneto.

Secondo i dati raccolti  dall’Università di Padova la pandemia ha causato un calo del numero di procedimenti 231, conformemente alla generale contrazione delle attività degli uffici giudiziari.

Il contenimento dell’emergenza epidemiologica nel 2021 ha stimolato una generale ripresa dei “numeri 231”, seppure con alcuni distinguo. Precisamente, in Trentino Alto-Adige e in Friuli Venezia-Giulia, ove l’andamento è sempre stato sinusoidale, i valori dello scorso

anno sono rientrati nel range ordinario, sebbene al ribasso. Viceversa, in Veneto i numeri sono di poco superiori a quelli del 2020 ma, comunque, ancora inferiori a quelli registrati negli anni precedenti.

Il trend dei procedimenti aperti ogni anno è più compatto in Trentino Alto-Adige, mentre è più incostante in Veneto  e, soprattutto, in Friuli Venezia-Giulia .

Una rappresentativa disomogeneità caratterizza inoltre le categorie cui appartengono i reati presupposto iscritti. A conferma di un dato consolidato, nel triennio 2019-2021 il 70% circa degli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono riconducibili ai reati contro la Pubblica amministrazione (articoli 24 e 25), ai reati ambientali (articolo 25 undecies) e, soprattutto, ai reati di omicidio e di lesioni colpose derivanti dalla violazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro (articolo 25 septies).

Anche i reati tributari recentemente introdotti acquistano centralità, con una tendenza crescente e un numero di procedimenti aperti che ha già raggiunto e superato quello delle categorie meno applicate.

Per quanto concerne l’orientamento giurisprudenziale sugli effetti dell’adozione del modello, con la sentenza a conclusione del processo “Impregilo” (23401/2022), la Cassazione ha adottato un approccio pragmatico e auspicabilmente fecondo. È stato sancito un onere di motivazione rafforzato qualora il giudice decida di esprimersi sull’inidoneità di un modello redatto secondo le linee guida, imponendo di valutare se la commissione del reato sia stata determinata dal difetto di organizzazione contestato.

Malgrado la sentenza, resta un’incertezza che pregiudica potenzialmente il sistema imprenditoriale. Un rischio meritevole di attenzione, visti i benefici che possono venire da un ricorso virtuoso agli strumenti 231 pure nel contesto giudiziario. Esemplificativo è il caso Uber Italy, società incolpata del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Il Tribunale aveva disposto la misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria, secondo il Codice antimafia, per ricondurre l’attività di business nella legalità. Poi ha revocato anzitempo la misura di prevenzione proprio per l’attuazione di un piano di compliance 231 che ha profondamente innovato e migliorato gli assetti organizzativi, con ripercussioni sulle condizioni di lavoro del personale.

Il decreto di archiviazione datato 9 novembre 2022, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano,  richiama una problematica ben conosciuta a chi si occupa della normativa 231, sottesa alla insufficiente diffusione ed applicazione della stessa. L’assenza di incentivi adeguati, di benefici processuali premiali, anche e soprattutto nel momento in cui dovesse verificarsi un illecito, nei confronti di quei soggetti giuridici che hanno preventivamente già investito tempo e risorse per l’implementazione di un modello.

La Procura di Milano, in relazione ad un procedimento in cui era stata contestata la fittizietà di alcuni appalti, ha posto l’accento  sul comportamento complessivo tenuto dalla società indagata successivamente al fatto. Questa infatti, che già prima dei fatti aveva implementato un modello organizzativo ai sensi del Decreto 231 che tenesse conto anche della macroarea di rischio relativa al rapporto con i fornitori di beni/servizi, aveva proseguito virtuosamente nello sforzo di dotarsi di un’organizzazione adeguata rispetto alla finalità preventiva perseguita dal decreto in parola. Tra le varie attività portate avanti, a far data dal fatto contestato, sono stati considerati degni di particolare attenzione i protocolli relativi al monitoraggio sugli adempimenti Iva da parte dei fornitori e il progetto di insourcing dei lavoratori che tramite i fornitori svolgono servizi di gestione dei magazzini e altre attività connesse (tale progetto, che aveva già portato all’assunzione di 695 lavoratori, prevedeva l’assunzione diretta di ulteriori 761 lavoratori ). In particolare, con riferimento al progetto relativo all’assunzione dei lavoratori operanti presso i fornitori, (X) è riuscita ad implementare un modello virtuoso di gestione diretta del magazzino – in un lasso di tempo relativamente breve, considerata la complessità e l’onerosità dei lavori – che oltre a garantire una gestione rafforzata del rischio-compliance, costituiva un forte segnale, anche verso l’esterno, della volontà di proseguire nell’attività nella piena legalità. Ciò determina, evidentemente, una netta cesura con il precedente assetto organizzativo. Ora, se è vero che tanto le sanzioni tributarie, quanto quelle previste dal Decreto 231, perseguono una finalità dissuasiva e preventiva che va al di là della mera funzione ripristinatoria e retributiva, non si può negare che un più che soddisfacente risultato in questi termini sia stato  raggiunto. Pertanto il pagamento delle sanzioni tributarie  e le condotte riparatorie poste in essere (al di là del doveroso pagamento del debito tributario) consistite in: 1. stabilizzazione di circa 1200 dipendenti; 2. modelli organizzativi idonei a scongiurare che si ripetano fenomeni come quelli qui censurati; 3. interventi organizzativi attuati su larga scala che hanno comportato un esborso di (ulteriori) circa 10 milioni di euro sono stati tali da rendere l’ulteriore irrogazione della sanzione ex 231/2001 un fatto che sembra porsi in contrasto con la consolidata giurisprudenza in materia di ne bis in idem. Per questi motivi è stata disposta l’archiviazione del procedimento es d. lgs. 231/2001.

Si rileva, infine, che oltre ai vantaggi sul piano giudiziario, come l’esimente dalla responsabilità (articolo 6 del decreto 231), è risaputo che l’onere di auto-organizzazione nelle realtà d’impresa è un fattore cruciale per ottimizzare i processi aziendali.

 

Newsletter 1/2023

1)Il sistema di gestione della sicurezza non evita la responsabilità in assenza del modello “231”.

Per la Corte di  Cassazione non coincide con i modelli organizzativi del decreto 231

La conformità del sistema di gestione della sicurezza prevista dall’articolo 30, comma 3, del Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (Dlgs 81/2008) non è sufficiente ad escludere la responsabilità dell’ente per gli illeciti previsti dal Dlgs 231/2001.

Lo ribadisce la quarta sezione penale della Cassazione (sentenza n. 45131 del 28 novembre) che ha ritenuto irrilevante la presenza, al momento dell’infortunio sul lavoro, di un sistema di gestione della sicurezza caratterizzato dall’individuazione dei soggetti preposti a tale scopo.

Ciò perché, al di là del fatto che l’istituzione di determinate figure professionali (quali il RSPP) è prevista obbligatoriamente (cfr. artt. 31 e ss.gg. D.Ivo 81/08), gli istituti cui esse sono preposte (ossia il Servizio di Prevenzione e Protezione e la Sorveglianza sanitaria), assolvono alla funzione di prevenzione degli infortuni, mentre il modello organizzativo risponde alla necessità di mappare le aree di rischio e di predisporre un sistema di controlli diretti ad «assicurare l’adempimento» di una serie di obblighi giuridici in tema di sicurezza nei luoghi di lavoro, ed a ridimensionare il rischio di commissione di reati in violazione della normativa antinfortunistica. Né, peraltro, la mappatura   dei rischi (presupposto del modello organizzativo di cui all’articolo 30 del Dlgs 81/2008 che a sua volta richiama l’articolo 6 del Dlgs 231/2001) potrebbe farsi coincidere con la valutazione dei rischi contenuta nel documento di valutazione dei rischi (Dvr), essendo diversa la platea dei destinatari: il Dvr è diretto ai lavoratori per informarli sui rischi. Il modello organizzativo si rivolge anche a coloro che, all’interno della compagine aziendale, sono esposti al rischio di commettere reati colposi, sollecitandoli al rispetto degli obblighi giuridici in materia antinfortunistica, anche attraverso la previsione di un sistema di vigilanza sull’attuazione delle prescrizioni in esso contenute e che culmina nella previsione di sanzioni disciplinari in caso di inottemperanza.

Ed infatti, l’art. 2, co. 1 lett. dd) del d.Ivo 81/08 definisce, in senso ampio, «modello di organizzazione e di gestione” il modello per la «definizione e l’attuazione di una politica aziendale per la salute e la sicurezza, idoneo a prevenire i reati di cui agli artt. 589 e 590, terzo comma c.p., commessi in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela della salute sul lavoro”; in tal guisa, il modello organizzativo di cui all’art. 30 presenta un contenuto ed una pla­tea di destinatari più ampia rispetto al DVR, essendo finalizzato a prevenire ogni possibile condotta – ascrivibile anche agli organi dotati di poteri decisionali – determinativa o agevolativa di situazioni di rischio.

2)L’inchiesta Prisma sui bilanci della Juventus Football Club spa

L’inchiesta Prisma sui bilanci della Juventus Football Club spa è interessante da valutare anche sotto il profilo della responsabilità 231: istruita circa un anno fa dalla Procura di Torino, è divenuta oramai di dominio pubblico e indaga sulla società calcistica quotata in borsa dal 2001. In questi giorni i principali quotidiani hanno più volte riportato notizie riferite alle indagini in corso: la Procura di Torino giovedì 1° dicembre ha formulato le richieste di rinvio a giudizio per 12 dirigenti o ex dirigenti bianconeri tra cui l’oramai ex Presidente Andrea Agnelli ed il suo vice Pavel Nedved, l’ex amministratore delegato Maurizio Arrivabene e l’ex responsabile dell’area sportiva Fabio Paratici.

Quattro sono le ipotesi di reato:

  • false comunicazioni sociali;
  • manipolazione del mercato;
  • ostacolo agli organi di vigilanza;
  • false fatture per operazioni inesistenti.

L‘accusa sostiene che la Juventus Football Club spa abbia effettuato delle “manovre correttive” con l’obbiettivo di rendere meno onerose le pur esistenti perdite di bilancio e consentire di conseguenza la permanenza sul mercato senza dover ricorrere alla cessione dei giocatori più importanti: elemento fondante del quadro accusatorio è la quotazione in borsa della Società (da notare che la Juventus è ad oggi l’unica società di serie A quotata).

Anche la Società Juventus Football Club S.p.a. è indagata in qualità di persona giuridica, in ottemperanza al Decreto legislativo 231 2001 che prevede il principio della responsabilità amministrativa, ovvero quello che comunemente definiamo responsabilità 231, per specifiche tipologie di reato commesse da persone riconducibili alla società (amministratori e dipendenti, ma anche consulenti e procuratori esterni): tra le sanzioni previste, oltre a quella pecuniaria, il riconoscimento della responsabilità amministrativa può comportare anche l’inibizione dell’operatività; le ipotesi di reato formulate sono relative ai reati tributari e agli abusi di mercato, entrambe ricomprese all’interno dell’art. 25 del citato Decreto.

Proprio in riferimento a queste ipotesi, nei giorni scorsi e precisamente il 28 novembre, vi sono state le dimissioni di tutto il consiglio di amministrazione della Juventus Football Club spa; a detta di molti la scelta di rassegnare le dimissioni pare sia legata alle potenziali ricadute che avrebbe potuto avere il Decreto legislativo 231 2001 sulla Società in termini di sanzioni.

In relazione proprio alle dimissioni dell’organo dirigente al fine di evitare il coinvolgimento dell’ente ai sensi del Decreto va però segnalato che la Corte di Cassazione ha più volte puntualizzato (sezione penale, sentenza n° 46439 del 2013 e sentenza n. 32626 del 2006) come le dimissioni degli Amministratori non siano da sole condizione sufficiente per evitare eventuali conseguenze sulla Persona Giuridica; nell’ipotesi di responsabilità derivante da condotte perpetrate dai dirigenti dell’ente, la sostituzione o l’estromissione degli amministratori coinvolti possono portare a escludere la sussistenza del “periculum”, purché ciò rappresenti il sintomo del fatto che l’ente inizia a muoversi verso un diverso tipo di organizzazione, orientata nel senso della prevenzione dei reati.

In sostanza, la semplice circostanza che gli amministratori indagati abbiano dichiarato di dimettersi dalle loro funzioni non costituisce, di per sé, sinonimo del superamento delle circostanze che hanno dato origine alle condotte illecite, anche se costituiscono sicuramente delle misure organizzative preventive che mirano a:

  • escludere la sussistenza del “periculum”;
  • escludere li rischio di reiterazione nel reato;
  • dimostrare la discontinuità nell’organizzazione;
  • agevolare la difesa societaria per l’incompatibilità alla partecipazione al procedimento del proprio rappresentante legale qualora «questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo (art. 39 Decreto legislativo 231 2001).

Nel ribadire che tali misure siano necessarie ma non sufficienti ad escludere l’eventuale responsabilità della Società ed evitare il rischio di sanzioni cautelari o definitive, l’ente dovrà dimostrare nei fatti, oltre all’adozione dei correttivi sopra elencati, di non avere avuto carenze organizzative pur in presenza del fatto contestato, o di aver provveduto ad eliminare le eventuali proprie carenze organizzative in un momento successivo alla contestazione dell’illecito amministrativo nei propri confronti, dando così luogo ad una condotta riparatoria per evitare l’irrogazione delle sanzioni ex D.lgs. 231/01.

La Juventus Football club spa dovrà quindi provare (con attenzione all’onere probatorio ex art. 6 d.lgs. 231/2001) di aver adottato un Modello Organizzativo idoneo a prevenire reati della stessa natura di quello contestato, o di avere migliorato il proprio Modello “post factum” eliminando così le eventuali carenze organizzative che avevano favorito la commissione del reato (Tribunale di Roma, sentenza del 20 marzo 2018).

Segue: Responsabilità 231: la strategia della difesa

L’onere probatorio comporta l’obbligo a carico della Società di avviare una ricognizione del sistema di controllo interno adottato per dimostrare l’idoneità ed efficacia del sistema parametrato rispetto alle migliori conoscenze disponibili all’epoca della predisposizione del modello stesso.

Sarà dunque necessario:

  • ricostruire le modalità operative di commissione dei reati secondo l’impianto accusatorio (c.d. rischio di commissione reato che non ha più carattere di astrattezza);
  • individuare le attività esposte ai reati contestati;
  • verificare la completezza dell’analisi del rischio;
  • evidenziare le procedure interne di gestione;
  • evidenziare i controlli di primo, secondo e terzo livello;
  • ricostruire le attività di verifica effettuate dagli organismi di controllo;
  • analizzare flussi informativi e/o segnalazioni;
  • adottare misure di prevenzione e controllo aggiuntive, se opportune.

La descritta attività di ricognizione avrà quindi le caratteristiche di una vera e propria indagine interna, che permetterà di provare alternativamente:

  • che la Società aveva già adottato un Modello idoneo attuandolo efficacemente, dimostrando la “volontarietà” e “intenzionalità” dell’aggiramento delle procedure aziendali;
  • che la Società stia migliorando il proprio Modello, in ragione di carenze organizzative emerse in seguito all’analisi effettuata.

3) Decreto-legge recante misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale, approvato dal CDM del 28 dicembre 2022.

Vengono apportate 3 importanti modifiche al d.lg. 231/2001:

1.All’art. 15 (Commissario giudiziale), comma 1, viene aggiunta la lett. b-bis):

“l’attività è svolta in stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’art. 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231. In caso di imprese che dopo il verificarsi dei reati che danno luogo all’applicazione della sanzione sono state ammesse all’amministrazione straordinaria, anche in via temporanea ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 5 dicembre 2022, n. 187, la prosecuzione dell’attività è affidata al commissario già nominato nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria”.

Tale nuova ipotesi, in cui è possibile la sostituzione della sanzione interdittiva con il commissariamento, si va ad aggiungere alle preesistenti:

  1. a)  l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività;
  2. b) l’interruzione dell’attività dell’ente può provocare, tenuto conto   delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull’occupazione.

2.All’art. 17 (Riparazione delle conseguenze del reato), viene aggiunto il comma 1-bis):

“In ogni caso, le sanzioni interdittive non possono essere applicate quando pregiudicano la continuità dell’attività svolta in stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’art. 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, se l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Il modello organizzativo si considera sempre idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi quando nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale sono stati adottati provvedimenti diretti a realizzare, anche attraverso l’adozione di modelli organizzativi, il necessario bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi”.

Come è noto, il comma 1 dell’art 17 esclude l’applicazione delle sanzioni interdittive quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni:

  1. a)  l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;
  2. b)  l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;
  3. c)  l’ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.

3.All’art. 53 (Sequestro preventivo), viene aggiunto un nuovo comma 1-bis.1: 

“Quando il sequestro abbia ad oggetto stabilimenti industriali che siano stati dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’art. 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, o loro parti ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, si applica l’articolo 104-bis, commi 1-bis.1 e 1-bis.2 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271″.

Il richiamato art 104-bis delle disposizioni di attuazione del c.p.p. viene a sua volta integrato con i seguenti nuovi commi:

“1-bis.1.

Quando il sequestro ha ad oggetto stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’art. 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, ovvero impianti o infrastrutture necessari ad assicurarne la continuità produttiva, il giudice dispone la prosecuzione dell’attività avvalendosi di un amministratore giudiziario nominato ai sensi del comma 1. In caso di imprese che dopo il verificarsi dei reati che danno luogo all’applicazione del provvedimento di sequestro sono state ammesse all’amministrazione straordinaria, anche in via temporanea ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 5 dicembre 2022, n. 187, la prosecuzione dell’attività è affidata al commissario già nominato nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria. Ove necessario per realizzare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi, il giudice detta le prescrizioni necessarie, tenendo anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità. Le disposizioni di cui ai periodi precedenti non si applicano quando dalla prosecuzione può derivare un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori non evitabile con alcuna prescrizione. Il giudice autorizza la prosecuzione dell’attività se, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, l’autorità amministrativa competente ha adottato provvedimenti con i quali ha ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia dell’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi. In ogni caso il provvedimento, anche se negativo, è immediatamente trasmesso, entro il termine di quarantotto ore, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle Imprese e del Made in Italy e al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.

1-bis.2

Nei casi disciplinati dal comma 1-bis.1., il provvedimento con cui il giudice abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione può essere oggetto di impugnazione ai sensi dell’articolo 322-bis del codice, anche da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero delle Imprese e del Made in Italy o del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Sull’appello avverso il provvedimento con cui il giudice abbia escluso o revocato l’autorizzazione alla prosecuzione decide, in composizione collegiale, il tribunale di Roma”.

4)Rendicontazione societaria di sostenibilità: obblighi estesi a tutte le imprese di grandi dimensioni e PMI

È stata pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea la nuova Direttiva (UE) 2022/2464 del 14 dicembre 2022 sulla rendicontazione societaria di sostenibilità (Corporate Sustainability Reporting Directive – CSRD). Le imprese di grandi dimensioni e le piccole e medie imprese, ad eccezione delle microimprese, che sono enti di interesse pubblico, devono includere nella relazione sulla gestione informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sulle questioni di sostenibilità, nonché informazioni necessarie alla comprensione del modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione. La direttiva entra in vigore il 5 gennaio 2023 e, salvo alcune eccezioni espressamente previste nel testo, deve essere applicata agli esercizi aventi inizio il 1 gennaio 2024 o successivi.

Nella CSRD sono presenti le  seguenti novità di seguito:

– gli obblighi di rendicontazione di sostenibilità sono estesi a tutte le imprese di grandi dimensioni, nonché a tutte le imprese con valori mobiliari ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati, comprese quindi le PMI, e ad eccezione delle sole microimprese;

– nel rispetto del principio di proporzionalità, è previsto che i principi di rendicontazione di sostenibilità siano proporzionati e non comportino per le imprese interessate oneri amministrativi inutili;

– i principi di rendicontazione di sostenibilità devono tener conto delle esigenze degli utenti, non gravando di oneri sproporzionati in termini di sforzo e costi le imprese tenute alle comunicazioni sulla sostenibilità e le altre imprese indirettamente interessate nell’ambito della catena del valore delle prime.

La CSRD evidenzia l’importanza che i principi di rendicontazione di sostenibilità considerino adeguatamente gli aspetti energetici, in particolare in relazione alle questioni ambientali, comprese quelle relative al clima. E proprio in riferimento alle informazioni sul clima, sarà opportuno tenere in considerazione sia i rischi fisici che di transizione delle imprese e la loro resilienza, nonché i loro piani di adattamento ai diversi scenari climatici e i loro piani di adattamento all’obiettivo di neutralità climatica dell’Unione entro il 2050.

I principi di rendicontazione di sostenibilità dovrebbero specificare le informazioni che le imprese devono comunicare riguardo a fattori sociali, compresi le condizioni di lavoro, il coinvolgimento delle parti sociali, la contrattazione collettiva, l’uguaglianza, la non discriminazione, la diversità, l’inclusione e i diritti umani.

Rendicontazione di sostenibilità

Le imprese di grandi dimensioni e le piccole e medie imprese, ad eccezione delle microimprese, che sono enti di interesse pubblico, devono includere nella relazione sulla gestione informazioni necessarie alla comprensione dell’impatto dell’impresa sulle questioni di sostenibilità, nonché informazioni necessarie alla comprensione del modo in cui le questioni di sostenibilità influiscono sull’andamento dell’impresa, sui suoi risultati e sulla sua situazione.

Le informazioni devono essere chiaramente identificabili nella relazione sulla gestione, tramite un’apposita sezione di tale relazione. Esse devono includere:

  1. a) una breve descrizione del modello e della strategia aziendali dell’impresa, che indichi:
  2. i) la resilienza del modello e della strategia aziendali dell’impresa in relazione ai rischi connessi alle questioni di sostenibilità;
  3. ii) le opportunità per l’impresa connesse alle questioni di sostenibilità;

iii) i piani dell’impresa, inclusi le azioni di attuazione e i relativi piani finanziari e di investimento, atti a garantire che il modello e la strategia aziendali siano compatibili con la transizione verso un’economia sostenibile e con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5°C in linea con l’accordo di Parigi nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici adottato il 12 dicembre 2015(“accordo di Parigi”) e l’obiettivo di conseguire la neutralità climatica entro il 2050 come stabilito dal regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento europeo e del Consiglio (*), e, se del caso, l’esposizione dell’impresa ad attività legate al carbone, al petrolio e al gas;

  1. iv) il modo in cui il modello e la strategia aziendali dell’impresa tengono conto degli interessi dei suoi portatori di interessi e del suo impatto sulle questioni di sostenibilità;
  2. v) le modalità di attuazione della strategia dell’impresa per quanto riguarda le questioni di sostenibilità;
  3. b) una descrizione degli obiettivi temporalmente definiti connessi alle questioni di sostenibilità individuati dall’impresa, inclusi, ove opportuno, obiettivi assoluti diriduzione delle emissioni di gas a effetto serraalmeno per il 2030 e il 2050, una descrizione dei progressi da essa realizzati nel conseguimento degli stessi e una dichiarazione che attesti se gli obiettivi dell’impresa relativi ai fattori ambientali sono basati su prove scientifiche conclusive;
  4. c) una descrizione del ruolo degli organi di amministrazione, gestione e controllo per quanto riguarda le questioni di sostenibilità e delle loro competenze e capacità in relazione allo svolgimento di tale ruolo o dell’accesso di tali organi alle suddette competenze e capacità;
  5. d) una descrizione delle politiche dell’impresa in relazione alle questioni di sostenibilità;
  6. e) informazioni sull’esistenza di sistemi di incentivi connessi alle questioni di sostenibilità e che sono destinati ai membri degli organi di amministrazione, direzione e controllo;
  7. f) una descrizione:
  8. i) delle procedure di dovutadiligenzaapplicate dall’impresa in relazione alle questioni di sostenibilità e, ove opportuno, in linea con gli obblighi dell’Unione che impongono alle imprese di attuare una procedura di dovuta diligenza;
  9. ii) deiprincipali impatti negativi, effettivi o potenziali, legati alle attività dell’impresa e alla sua catena del valore, compresi i suoi prodotti e servizi, i suoi rapporti commerciali e la sua catena di fornitura, delle azioni intraprese per identificare e monitorare tali impatti, e degli altri impatti negativi che l’impresa è tenuta a identificare in virtù di altri obblighi dell’Unione che impongono alle imprese di attuare una procedura di dovuta diligenza;

iii) di eventuali azioni intraprese dall’impresa per prevenire o attenuare impatti negativi, effettivi o potenziali, o per porvi rimedio o fine, e dei risultati di tali azioni;

  1. g) una descrizione dei principali rischi per l’impresa connessi alle questioni di sostenibilità, compresa una descrizione delle principali dipendenze dell’impresa da tali questioni, e le modalità di gestione di tali rischi adottate dall’impresa;
  2. h) indicatori pertinenti per la comunicazione delle informazioni di cui alle lettere da a) a g).

Entrata in vigore e applicazione

La direttiva entra in vigore il 5 gennaio 2023 e, salvo alcune eccezioni espressamente previste nel testo, deve essere applicata agli esercizi aventi inizio il 1 gennaio 2024 o successivi.

 

Innocenzo Megali

“IL VALORE DELLA SOSTENIBILITÀ” LE RIFLESSIONI DI POLITICA E IMPRESE

Grande successo per il convegno organizzato venerdì pomeriggio a Vedelago

Le tante declinazioni della sostenibilità ambientale sono state le protagoniste del convegno “Il valore della sostenibilità”, organizzato a Cavasagra di Vedelago (Treviso), dai Consigli provinciali degli Ordini dei Consulenti del Lavoro di Belluno, Treviso e Venezia unitamente  all’Istituto Scolastico “Abate Zanetti”, Progredior (società specializzata in organizzazione, sviluppo delle competenze e finanziamenti) e Confimea Imprese Veneto, confederazione datoriale di piccole e medie imprese.

Un incontro che ha visto un’importante partecipazione da parte di professionisti e rappresentanti delle imprese di tutto il Veneto, interessati ad approfondire quei temi che – tra caro-bollette, scarsità di materie prime e riscaldamento globale – stanno costringendo l’intero mondo economico-produttivo a rivedere i propri sistemi.

«Il tema dello sviluppo sostenibile tocca infatti direttamente anche le aziende; – ha spiegato l’avvocato Innocenzo Megali, esperto della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro e da poco rieletto Presidente del Comitato Unitario delle Professioni di Belluno – le imprese devono adeguare i loro programmi a forme di sviluppo compatibili, come rimarcato anche dalla recente riforma costituzionale che ha inserito la tutela ambientale nella Carta. Bisogna quindi lavorare su uno sviluppo che coniughi la tutela dell’ambiente con il diritto all’impresa e al lavoro; servono normative di vantaggio, come una minor imposizione fiscale, che possano sostenere investimenti nella green economy».

Un tema quindi che non può prescindere dalla politica nazionale, come ha sottolineato nel suo intervento l’onorevole veneziana Martina Semenzato (Coraggio Italia), capogruppo in Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei Deputati: «Fondamentale è il rapporto con i territori e con gli enti locali, sentinelle sempre presenti e pronte ad intervenire, così come fondamentali sono le imprese, per le quali è necessario snellire i processi burocratici e alleggerire la pressione fiscale che grava su di esse e sui lavoratori. Nell’audizione di qualche giorno fa in Commissione con il Ministro dell’Ambiente ho sottolineato proprio come il suo Ministero debba essere un facilitatore per le aziende».

I riflettori sono stati poi accesi direttamente sulle imprese, al centro della transizione ecologica per quanto riguarda i temi dell’energia e delle emissioni: «Portare la sostenibilità nelle piccole e medie imprese significa cambiare il sistema di fare impresa. – ha spiegato Roberto Nardella, presidente nazionale di  Confimea Imprese – La consapevolezza di dover cambiare c’è già; serve una nuova formazione mentale per capire cosa vuol dire intervenire sulle filiere, cosa è l’economia circolare, cosa significa transizione ecologica e transizione energetica».

«Il Veneto e le sue imprese si contraddistinguono da sempre per il loro spirito etico e sociale. – gli fa eco Elio Gelain, presidente della neonata sezione veneta di Confimea Imprese – Le piccole e medie imprese venete sono viste come una famiglia, che dà le attenzioni necessarie a tutti i suoi componenti: gli investimenti in tecnologia, ad esempio, portano strumenti che sì migliorano le performance, ma generano ricchezza che ricade sul territorio».

Sostenibilità anche del – e per – il capitale umano, come ha rilevato il Presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro di Treviso Stefano De Vallier (in rappresentanza delle colleghe presidenti di Belluno e Venezia, Lara Bortot e Patrizia Gobat, collegate in remoto): «La parte più importante che vede impegnati noi professionisti è quella del lavoro etico e del lavoro legale, per garantire un’occupazione idonea e sicura».

La sostenibilità entra nel mondo del lavoro veneto anche attraverso le scuole, tramite i percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento (l’ex alternanza scuola-lavoro): «I ragazzi che vi partecipano portano nelle imprese la loro esperienza, cresciuta sui banchi di scuola, e si confrontano quotidianamente con chi se ne occupa in azienda. – ha sottolineato Enrico Pizzoli, direttore dell’Istituto Scolastico “Abate Zanetti” – Sui banchi si affronta il tema della sostenibilità non solo in aula, ma anche nei laboratori: penso ai ragazzi che lavorando il vetro nella fornace ne studiano anche il riciclo».

L’incontro si è chiuso con la presentazione dello studio della professoressa Fabiola Massa, Docente di Diritto dei mercati e protezione dell’innovazione all’Università Tor Vergata di Roma, sulle “società benefit”, ossia società che  integrano nel proprio oggetto sociale, oltre agli obiettivi di profitto, lo scopo di avere un impatto positivo sulla società e sulla biosfera: «Molte aziende non hanno ancora colto l’opportunità di diventare società benefit perché nemmeno sono a conoscenza di questa possibilità, che pure esiste dal 2016, o non hanno ritenuto il caso di acquisirla. – ha spiegato Massa . Il credito d’imposta concesso dal Governo fino al 31 dicembre proprio per l’acquisizione del titolo di società benefit potrebbe essere un incentivo per le piccole e medie imprese italiane di cogliere questa occasione».

green pass

GREEN PASS – ASPETTI PRATICI

A seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 105/2021 e della circolare n. 35309 del 4.8.2021 del Ministero della Salute è stato chiarito che, per quanto concerne le certificazioni di esenzione al Green pass, le stesse devono riportare:

  • I dati identificativi del soggetto interessato, ossia, nome, cognome e data di nascita.
  • La seguente espressione “soggetto esente alla vaccinazione anti-SARS- CoV-2. Certificazione valida per consentire l’accesso ai servizi e attività di cui al comma 1, art. 3, del decreto-legge 23 luglio 2021, n. 105”.
  • La data di validità della certificazione utilizzando la dicitura “certificazione valida fino al”, la data massima è stabilita fino al 30.9.2021.
  • I dati relativi al Servizio vaccinale della Azienda ed Enti del Servizio Sanitario Regionale in cui opera come vaccinatore COVID-19 (denominazione del Servizio-Regione).
  • Timbro e firma del medico certificatore (anche in formato digitale).
  • Numero di iscrizione all’ordine o codice fiscale del medico certificatore.

In questi casi la copia cartacea dovrà essere visionata SOLAMENTE dal verificatore che non potrà conservarne copia.

 

GREEN-PASS, ALBERGHI E STRUTTURE

Le strutture alberghiere non sono ricomprese nel novero delle attività interessate al controllo del Green pass ai sensi dell’art. 3 dl. n. 105/2021.

Ai sensi dell’art. 3 dl. n. 105/2021 è previsto espressamente l’obbligo di Green pass solamente per alcune strutture che possono essere offerte all’interno della struttura alberghiera come:

  • Ristorazione
  • Piscine
  • Palestre
  • Centri benessere

Ai fini dell’accesso a detti servizi è necessario presentare il Green pass ad eccezione delle ipotesi di espressa esclusione e quindi, le stesse strutture alberghiere limitatamente ai servizi appena elencati dovranno procedere alla richiesta finalizzata al controllo del Green pass.

 

In relazione a dette attività che richiedono il controllo del Green pass non viene fatta alcuna menzione nei confronti dei lavoratori dipendenti di dette strutture rispetto ai quali:

  • Non sussiste l’obbligo di presentare il Green pass
  • Non vi è la possibilità per il datore di lavoro di richiedere la presentazione del Green pass
  • L’unico obbligo attiene al settore degli operatori sanitari

 

CONTROLLI SUL GREEN PASS E DELEGA AI LAVORATORI

Per quanto concerne il controllo sul Green pass degli utenti questo potrà essere svolto potenzialmente da tutti i lavoratori in azienda a condizione che gli stessi siano destinatari di una nomina tale da parte del datore di lavoro. Ai sensi dell’art. 13 co. 3 del DPCM 17.6.2021 è precisato che i soggetti delegati al controllo devono essere destinatari di un atto formale a tal fine contenente le istruzioni necessarie circa l’attività di verifica.

La nomina, quindi, dovrà essere accompagnata dalle informazioni gestionali circa la corretta gestione dell’ingresso degli utenti nel rispetto delle disposizioni attualmente in vigore alla quale è possibile accostare una formazione avente carattere pratico.

In base alle disposizioni in vigore, quindi,:

  • La nomina del lavoratore risulta essere obbligatoria
  • Il conferimento dell’incarico dovrà essere preventivo circa l’inizio dell’attività di controllo sugli utenti.

Il datore di lavoro, al fine di evitare che il lavoratore delegato possa incorrere in comportamenti illeciti, dovrà:

  • Impartire le istruzioni sul trattamento ai sensi dell’art. 29 del Regolamento Europeo 2016/679.
  • Fornire le istruzioni relative ai profili della sicurezza del trattamento ex art. 32 del Regolamento Europeo 2016/679.
  • Fornire idonea formazione ai sensi dell’art. 39 del Regolamento Europeo 2016/679 tra cui ricordare che sussiste il divieto di raccolta dei dati, come copia cartacea del Green pass o compilazione di registri con i dati personali degli utenti.

 

Si precisa che nel momento in cui si procede alla nomina dei lavoratori circa la verifica dei Green pass sarà necessario aggiornare la policy privacy aziendale poiché, sebbene il Green pass non integri un trattamento del dato, il soggetto incaricato alla verifica diviene a tutti gli effetti un incaricato del trattamento che dovrà, di conseguenza, essere definito come tale dalla policy privacy aziendale.

 

FORMA DELLA DELEGA AI LAVORATORI

La delega diviene un adempimento documentale che deve contenere le linee guida per il corretto comportamento dei lavoratori.

Caratteristiche della delega:

  • essere nominativa.
  • riportare tutte le informazioni e le linee guida per procedere alle operazioni di verifica.
  • predisporre le procedure di gestione di eventuali contestazioni da parte degli utenti che non vogliano esibire il Green pass per evitare eventuali contestazioni.

 

 

A partire dal 1 settembre 2021 entrerà in vigore il decreto-legge n. 111/2021 il quale prevede che:

  1. Le disposizioni del presente decreto si applicano dal 1 settembre 2021 al 31 dicembre 2021
  2. Il Green pass dovrà essere esibito per consentire l’accesso a:
  • Aeromobili adibiti a servizi commerciali di trasporto persone
  • Navi e traghetti adibiti a servizi di trasporto interregionale ad esclusione di quelli impiegati per i collegamenti marittimi nello Stretto di Messina
  • Treni impiegati nei servizi di trasporto di persone, ad offerta indifferenziata, su un percorso che collega più di due regioni.
  • Treni impiegati nei servizi di trasporto ferroviario passeggeri di tipo Intercity, Intercity Notte e Alta Velocità.
  • Autobus adibiti a servizi di noleggio con conducente, ad esclusione di quelli impiegati nei servizi aggiuntivi di trasporto pubblico locale e regionale.
  1. Per quanto attiene ai servizi scolastici sarà necessario esibire il Green pass:
  • Non per gli studenti delle scuole primarie e secondarie ma per tutto il personale scolastico del sistema nazionale di istruzione e universitario.
  • Per gli studenti universitari.
  1. Rimane quale eccezione all’esibizione del Green pass l’essere minore di 12 anni o essere soggetti esentati sulla scorta di idonea certificazione medica.