Newsletter 2/2023

1) MODELLO SEMPLIFICATO “231” PER MICRO E PICCOLE IMPRESE

Il 12 gennaio 2023 UNI, Ente Italiano di Normazione, ha pubblicato la Prassi di riferimento 138:2023 «Modello semplificato di organizzazione, gestione e controllo di cui al D.Lgs. 231/2001 per la prevenzione dei reati contro la Pubblica Amministrazione e dei reati societari nelle micro e piccole imprese» («UNI/PdR 138:2023»). La UNI/PdR 138:2023 rientra fra i «prodotti della normazione europea» (Regolamento UE n.1025/2012) ed introduce importanti prescrizioni tecniche utili a guidare l’operato delle piccole imprese.

I destinatari della UNI/PdR 138:2023 sono le imprese di piccole dimensioni (micro e piccole).

Per «micro impresa», si intende quella che occupa meno di 10 dipendenti, con un fatturato minore di 2 milioni di Euro ed un valore totale dello stato patrimoniale inferiore alla predetta somma.

Per «piccola impresa» deve intendersi quella che occupa un numero inferiore ai 50 dipendenti, con un fatturato minore di 10 milioni di Euro e con un valore totale dello stato patrimoniale inferiore alla predetta somma.

La UNI/PdR 138:2023 risponde all’esigenza di contribuire alla costruzione ed all’attuazione di un MOG semplificato per le imprese di minori dimensione. A tale scopo, la UNI/PdR 138:2023 individua tutta una serie di modalità organizzative, gestionali e di controllo per l’adempimento degli obblighi richiesti dagli artt. 6 e 7 del D. Lgs. 231/2001.

Pertanto, le micro e piccole imprese potranno adottare volontariamente un Modello Organizzativo secondo la presente Prassi di Riferimento, adeguando i contenuti della stessa alla loro specifica articolazione aziendale, alle esigenze organizzativo-produttive e alla particolare organizzazione del lavoro.

La scelta di dotarsi di un Modello Organizzativo comporta notevoli vantaggi per le piccole e micro imprese, quali:

  • realizzazione di una più robusta e funzionale strutturazione organizzativa e gestionale;
  • esenzione da responsabilità amministrativa nel caso di efficace adozione ed attuazione del Modello Organizzativo;
  • attribuzione del Rating di legalità da parte dell’AGCM, con conseguenze favorevoli nei rapporti con la Pubblica Amministrazione e con gli Istituti di Credito.

2) Riforma appalti, l’illecito da 231 contestato potrà far scattare l’esclusione dalle gare

Il decreto legislativo che riforma il codice dei contratti pubblici, approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri, prevede che una contestazione relativa a un illecito 231 potrà essere sufficiente a far scattare la sanzione dell’esclusione da una gara d’appalto

Per ciò che concerne la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi  dipendenti da reato la novità è costituita dall’inserimento della “contestata o accertata commissione” dei reati previsti dal D. Lg. 231/2001 tra gli illeciti professionali che potrebbero determinare l’esclusione da un appalto (articolo 9, comma 4, lettera h, numero 5 della bozza del D. Lgs.

Quindi, nell’ambito della responsabilità degli enti derivante da reato, l’illecito professionale «si può desumere al verificarsi» della mera contestazione di uno dei reati previsti dal Dlgs 231/2001.

L’esclusione non opererà in via automatica (articolo 95, comma 1) perché la valutazione è rimessa alla stazione appaltante e scatterà se gli illeciti sono gravi e tali da rendere dubbia l’integrità o affidabilità dell’offerente.

L’articolo 98, comma 7, del Dlgs di riforma del Codice appalti, indica, però, tra i mezzi di prova adeguati per dimostrare l’illecito «oltre alla sentenza di condanna definitiva, al decreto penale di condanna irrevocabile, alla sentenza irrevocabile di applicazione della pena su richiesta, anche atti di esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, come ad esempio il decreto di citazione a giudizio o la richiesta di emissione di decreto penale di condanna.

Atti, questi ultimi, che sono però frutto della determinazione unilaterale del pubblico ministero. In attesa della decisione giurisdizionale che, a volte, arriva anche a distanza di anni, l’operatore economico (ossia l’azienda) rischia quindi di essere escluso dalle gare d’appalto.

Più soggetti «contestabili»

La riforma amplia inoltre la platea dei soggetti la cui condotta è rilevante per far scattare l’esclusione.

La «contestata o accertata commissione» dei reati previsti dal Dlgs 231, riguarda, infatti non solo l’operatore economico ma anche i soggetti che operano per suo conto e cioé quelli indicati dall’articolo 94, comma 3 del Dlgs di riforma del Codice appalti, che comprende anche il direttore tecnico, i membri del consiglio di amministrazione, i componenti degli organi con poteri di vigilanza, il socio unico e persino l’amministratore di fatto.

Il modello organizzativo

Se il testo attuale sarà confermato, gli enti – tenuto conto della vastità di situazioni  valutabili come illecito professionale -, dovranno cominciare a pensare al modello conforme al D. Lg. 231/2001 quale insieme di provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti (art. 96 c. 6). Infatti la stazione appaltante, nell’ambito dell’ampia discrezionalità riconosciuta dalla giurisprudenza amministrativa, potrebbe considerare idonea ad evitare l’esclusione, fatta eccezione per i casi più gravi per i quali non ci sono margini di discrezionalità (art. 94, comma 5, e 95, comma 2).

3) Cassazione: la responsabilità dell’amministratore non si riflette automaticamente sull’ente ai sensi del D.Lgs. 231/2001

Con la sentenza n. 570 del 11.1.2023 la Corte di  Cassazione penale afferma che la responsabilità degli amministratori in materia antinfortunistica non integra automaticamente la responsabilità dell’ente, che presuppone anche la sussistenza della c.d. colpa di organizzazione, ravvisabile in ipotesi di mancata attuazione delle cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti dal D.Lgs. 231/2001.

Il fatto affrontato

A seguito dell’infortunio mortale occorso ad un dipendente viene imputata alla società la violazione dell’art. 25-septies, comma 3, del D.Lgs. 231/2001.
In particolare, la Corte d’Appello ritiene l’ente responsabile dell’illecito amministrativo per aver tratto – dalla condotta del reato (di omicidio colposo dovuto all’inosservanza di norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro) attribuito al suo amministratore unico – un vantaggio consistito nel risparmio derivante dall’impiego di lavoratori solo formalmente dipendenti di altra società e non dotati di adeguati strumenti di protezione individuale.

La sentenza

La Cassazione – nel ribaltare la pronuncia di merito – rileva che l’illecito amministrativo a carico del soggetto collettivo si configura quando la commissione del reato presupposto (da parte delle persone fisiche che agiscono per conto dell’ente) sia funzionale ad uno specifico interesse o vantaggio a favore dell’ente stesso.

Per la sentenza, ciò esclude che possa essere attribuito all’ente un reato commesso da un soggetto incardinato nell’organizzazione, ma per fini estranei agli scopi dell’ente stesso.

Invero, secondo i Giudici di legittimità, nell’indagine riguardante la configurabilità dell’illecito imputabile all’ente, le condotte colpose dei soggetti responsabili del reato presupposto rilevano soltanto se risulta riscontrabile la mancanza o l’inadeguatezza delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati previsti dal D.Lgs. 231/2001.

In particolare, secondo la Corte di Cassazione, laddove sia stato adottato un modello organizzativo previsto dal D. Lg. 232/2001, non può essere contestata la  “genericità ed inadeguatezza” del modello organizzativo” senza fornire positiva dimostrazione della sussistenza di una “colpa di organizzazione” dell’ente. Infatti la tipicità dell’illecito amministrativo imputabile all’ente costituisce, per così dire, un modo di essere “colposo”, specificamente individuato, proprio dell’organizzazione dell’ente, che abbia consentito al soggetto (persona fisica) organico all’ente di commettere il reato. In tale prospettiva, l’elemento finalistico della condotta dell’agente deve essere conseguenza non tanto di un atteggiamento soggettivo proprio della persona fisica quanto di un preciso assetto organizzativo “negligente” dell’impresa, da intendersi in senso normativo, perché fondato sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn). Ne consegue che, nell’indagine riguardante la configurabilità dell’illecito imputabile all’ente, le condotte colpose dei soggetti responsabili della fattispecie criminosa (presupposto dell’illecito amministrativo) rilevano se riscontrabile la mancanza o l’inadeguatezza delle cautele predisposte per la prevenzione dei reati previsti  dal D. Lg. 231/2001. La ricorrenza di tali carenze organizzative, in quanto atte a determinare le condizioni di verificazione del reato presupposto, giustifica il rimprovero e l’imputazione dell’illecito al soggetto collettivo, oltre a sorreggere la costruzione giuridica per cui l’ente risponde dell’illecito per fatto proprio (e non per fatto altrui). Ciò rafforza l’esigenza che la menzionata colpa di organizzazione sia rigorosamente provata e non confusa o sovrapposta con la colpevolezza del (dipendente o amministratore dell’ente) responsabile del reato.

Non ritenendo fornita dall’accusa la prova di tale negligenza nel caso di specie, la Suprema Corte accoglie il ricorso della società, cassando con rinvio l’impugnata pronuncia.

   4) Procedimenti relativi alla violazione del modello “231” nel Triveneto.

Secondo i dati raccolti  dall’Università di Padova la pandemia ha causato un calo del numero di procedimenti 231, conformemente alla generale contrazione delle attività degli uffici giudiziari.

Il contenimento dell’emergenza epidemiologica nel 2021 ha stimolato una generale ripresa dei “numeri 231”, seppure con alcuni distinguo. Precisamente, in Trentino Alto-Adige e in Friuli Venezia-Giulia, ove l’andamento è sempre stato sinusoidale, i valori dello scorso

anno sono rientrati nel range ordinario, sebbene al ribasso. Viceversa, in Veneto i numeri sono di poco superiori a quelli del 2020 ma, comunque, ancora inferiori a quelli registrati negli anni precedenti.

Il trend dei procedimenti aperti ogni anno è più compatto in Trentino Alto-Adige, mentre è più incostante in Veneto  e, soprattutto, in Friuli Venezia-Giulia .

Una rappresentativa disomogeneità caratterizza inoltre le categorie cui appartengono i reati presupposto iscritti. A conferma di un dato consolidato, nel triennio 2019-2021 il 70% circa degli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono riconducibili ai reati contro la Pubblica amministrazione (articoli 24 e 25), ai reati ambientali (articolo 25 undecies) e, soprattutto, ai reati di omicidio e di lesioni colpose derivanti dalla violazione della normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro (articolo 25 septies).

Anche i reati tributari recentemente introdotti acquistano centralità, con una tendenza crescente e un numero di procedimenti aperti che ha già raggiunto e superato quello delle categorie meno applicate.

Per quanto concerne l’orientamento giurisprudenziale sugli effetti dell’adozione del modello, con la sentenza a conclusione del processo “Impregilo” (23401/2022), la Cassazione ha adottato un approccio pragmatico e auspicabilmente fecondo. È stato sancito un onere di motivazione rafforzato qualora il giudice decida di esprimersi sull’inidoneità di un modello redatto secondo le linee guida, imponendo di valutare se la commissione del reato sia stata determinata dal difetto di organizzazione contestato.

Malgrado la sentenza, resta un’incertezza che pregiudica potenzialmente il sistema imprenditoriale. Un rischio meritevole di attenzione, visti i benefici che possono venire da un ricorso virtuoso agli strumenti 231 pure nel contesto giudiziario. Esemplificativo è il caso Uber Italy, società incolpata del reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Il Tribunale aveva disposto la misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria, secondo il Codice antimafia, per ricondurre l’attività di business nella legalità. Poi ha revocato anzitempo la misura di prevenzione proprio per l’attuazione di un piano di compliance 231 che ha profondamente innovato e migliorato gli assetti organizzativi, con ripercussioni sulle condizioni di lavoro del personale.

Il decreto di archiviazione datato 9 novembre 2022, emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano,  richiama una problematica ben conosciuta a chi si occupa della normativa 231, sottesa alla insufficiente diffusione ed applicazione della stessa. L’assenza di incentivi adeguati, di benefici processuali premiali, anche e soprattutto nel momento in cui dovesse verificarsi un illecito, nei confronti di quei soggetti giuridici che hanno preventivamente già investito tempo e risorse per l’implementazione di un modello.

La Procura di Milano, in relazione ad un procedimento in cui era stata contestata la fittizietà di alcuni appalti, ha posto l’accento  sul comportamento complessivo tenuto dalla società indagata successivamente al fatto. Questa infatti, che già prima dei fatti aveva implementato un modello organizzativo ai sensi del Decreto 231 che tenesse conto anche della macroarea di rischio relativa al rapporto con i fornitori di beni/servizi, aveva proseguito virtuosamente nello sforzo di dotarsi di un’organizzazione adeguata rispetto alla finalità preventiva perseguita dal decreto in parola. Tra le varie attività portate avanti, a far data dal fatto contestato, sono stati considerati degni di particolare attenzione i protocolli relativi al monitoraggio sugli adempimenti Iva da parte dei fornitori e il progetto di insourcing dei lavoratori che tramite i fornitori svolgono servizi di gestione dei magazzini e altre attività connesse (tale progetto, che aveva già portato all’assunzione di 695 lavoratori, prevedeva l’assunzione diretta di ulteriori 761 lavoratori ). In particolare, con riferimento al progetto relativo all’assunzione dei lavoratori operanti presso i fornitori, (X) è riuscita ad implementare un modello virtuoso di gestione diretta del magazzino – in un lasso di tempo relativamente breve, considerata la complessità e l’onerosità dei lavori – che oltre a garantire una gestione rafforzata del rischio-compliance, costituiva un forte segnale, anche verso l’esterno, della volontà di proseguire nell’attività nella piena legalità. Ciò determina, evidentemente, una netta cesura con il precedente assetto organizzativo. Ora, se è vero che tanto le sanzioni tributarie, quanto quelle previste dal Decreto 231, perseguono una finalità dissuasiva e preventiva che va al di là della mera funzione ripristinatoria e retributiva, non si può negare che un più che soddisfacente risultato in questi termini sia stato  raggiunto. Pertanto il pagamento delle sanzioni tributarie  e le condotte riparatorie poste in essere (al di là del doveroso pagamento del debito tributario) consistite in: 1. stabilizzazione di circa 1200 dipendenti; 2. modelli organizzativi idonei a scongiurare che si ripetano fenomeni come quelli qui censurati; 3. interventi organizzativi attuati su larga scala che hanno comportato un esborso di (ulteriori) circa 10 milioni di euro sono stati tali da rendere l’ulteriore irrogazione della sanzione ex 231/2001 un fatto che sembra porsi in contrasto con la consolidata giurisprudenza in materia di ne bis in idem. Per questi motivi è stata disposta l’archiviazione del procedimento es d. lgs. 231/2001.

Si rileva, infine, che oltre ai vantaggi sul piano giudiziario, come l’esimente dalla responsabilità (articolo 6 del decreto 231), è risaputo che l’onere di auto-organizzazione nelle realtà d’impresa è un fattore cruciale per ottimizzare i processi aziendali.